Sunday, March 25, 2012


ARCHITETTURA: "esisto in quanto comunico"

Partendo dall'assioma che ormai dalla metà degli anni '50 siamo protagonisti di una trasformazione che ha come oggetto il modo di produrre, l' epoca storica in cui l' informazione, da concetto astratto che era, si è trasformato in bene "materiale" e di consumo, qual è il processo produttivo dell' oggetto architettonico? L' edificio oggi "esiste in quanto comunica", non in quanto "rappresenta" nè in quanto "funziona". Ma se l'architettura esiste in quanto informa, è essa simbolo? E se è simbolo, in che modo lo diventa?
Se pensiamo al simbolo come "convenzione", diventa necessario indagare quali siano le vie tramite cui l' oggetto in questione è riconosciuto come tale. C' è differenza nel pensare a San Pietro come simbolo del mondo cristiano o al Centro Pompidour come simbolo di una moderna Parigi? Non è forse spontaneo pensando a Parigi associarvi le immagini ugualmente di Notre Dame, della Tour Eiffel o del Beaubourg? Eppure appartengono ad epoche (a "fasi" direbbe Toffler) differenti, ma in ognuna di queste, erano simbolo. Ciò che è cambia è come si giunge al riconoscimento dell' oggetto come icona.
Oggi il processo è informatico: un dato oggettivo viene immesso in una rete di comunicazione globale; nelle fasi precedenti era frutto piuttosto di una trasmissione orale, scritta o illustrata che prevedeva obbligatoriamente come filtro l' esperienza soggettiva di chi tramandava l' informazione.
Se in passato la forza comunicativa dell' oggetto dipendeva dalla potenza economica, religiosa o politica del soggetto che era dietro di esso, oggi questa dipende per la maggior parte dalla potenza del mezzo tramite cui viene data notizia/informazione al mondo della sua esistenza, l' edificio, nella fattispecie, diventa icona  nella misura in cui l' informazione lo carica di quel significato.
Ovvio, poi, che esistono mezzi espressivi differenti, mettiamo a confronto 2 musei, il Guggenheim di Bilbao e il Jewish Museum di Libeskind. Il primo ha forza comunicativa oggettiva, che il luccicante "spiraleggiare" sopra il fiume piaccia o no, che se ne abbia o meno esperienza diretta, esso è icona della piccola capitale basca rivendicatrice di prestigio. Il secondo è diventato icona del dramma dell' olocausto invece, non tanto per la sua forza espressiva formale, in esso non si ha rappresentazione od ostentazione del dramma, al visitatore è chiesto piuttosto di partecipare al dramma del popolo attraverso il labirintico percorrere del museo, che porta a vicoli ciechi o ad episodi puntuali di forte carica emotiva. 

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